Negli ultimi giorni stampa, televisioni, ministri e leaders politici hanno criticato severamente lo sciopero promosso da CGIL e UIL. Molti tra loro si sono anche felicitati per una presunta scarsa partecipazione dei lavoratori e hanno elogiato la non adesione della CISL alla mobilitazione. Ora, se le motivazioni addotte dai promotori erano discutibili – lo sono sempre nei casi di sciopero generale – colpisce il silenzio proprio sul dichiarato carattere politico dello sciopero.
Eppure Landini e in modo ancor più esplicito Bombardieri avevano indicato come bersagli della loro iniziativa più che il governo Draghi e i partiti che lo sostengono l’assenza di una visione, di una prospettiva soprattutto per i giovani e per chi soffre. In effetti, rileggendo oggi le cronache appare ancor più chiaro che questa volta sono stati i partiti a prevalere sullo “spirito repubblicano” cioè sull’ispirazione e sull’impronta originaria del governo Draghi.
Sono i partiti che ne hanno condizionato le scelte imponendo gli interessi immediati dei loro pezzi di elettorato a detrimento di una visione organica più equa e più lungimirante. Ciò è apparso evidente nelle scelte di riforma fiscale, ma anche in quelle di prolungare i super bonus, le deroghe e le concessioni mentre il risparmio inattivo aumenta, il debito galoppa, l’inflazione cresce e cala il potere d’acquisto di salari e pensioni.
La mobilitazione sindacale si spiega dentro questo contesto socio-economico e va letta come protesta politica contro un sistema entro il quale non c’è un solo partito che abbia come referente il mondo del lavoro organizzato. Non c’è ragione di rimpiangere le “cinghie di trasmissione” che sottomettevano il sindacato ai diktat di partito; ce ne sono invece molte per costatare come l’assenza di una robusta forza politica socialdemocratica di stampo europeo abbia privato il mondo del lavoro di un sicuro riferimento politico nelle istituzioni così isolando il sindacato e sradicando la sinistra dalla sua base popolare.