Due compiti distinti e una sola responsabilità comune a tutti
Draghi: unità, cura dell’emergenza, riforme di struttura
Faccio parte della vasta schiera di italiani che ha voluto questa soluzione politica e vuole partecipare contribuendo col pensiero e con l’azione alla buona riuscita del governo Draghi. Un governo che nasce con un ampio sostegno delle forze politiche e dell’opinione pubblica nel perdurare di un’emergenza che è insieme crisi e opportunità. Ci sarà presto occasione per scrutare gli effetti che sul sistema politico può avere – nell’immediato e nel medio termine – quell’embrione di unità nazionale che si rispecchia nel governo e che deve trovare nel Parlamento il suo fondamento e il suo sprone. A ben guardare l’esperienza in corso non descrive soltanto una fase straordinaria di collaborazione tra forze politiche che hanno già collaborato formando governi insieme e tra altre che, diversamente, sono sempre state rivali come il PD e la Lega o Forza Italia e i 5 Stelle.
In altra parte di questo numero, l’Avanti! ricapitola le precedenti esperienze di unità nazionale per cogliere analogie e differenze con quella in corso e magari qualche utile insegnamento. Quel che qui preme è, invece, di capire se, come e con quali obiettivi potrebbe maturare tra le forze politiche in Parlamento un comune sentire che ispiri alcune scelte che non concernono l’appoggio o l’opposizione al governo Draghi, ma appartengono alla comune responsabilità parlamentare e investono il futuro della Repubblica e della democrazia italiana.
Non credo che al di là dell’emergenza la maggioranza che vota la fiducia possa condividere un progetto politico generale. E non intendo speculare sull’ispirazione politica “socialista e liberale” che da sempre è la nostra e alla quale in un recente passato si è richiamato il presidente Draghi. Penso piuttosto a come tutte le forze parlamentari potrebbero collaborare nell’ambito che è loro proprio: quello delle riforme costituzionali e della nuova legge elettorale; dunque in autonomia dal governo ma pur sempre in coerenza con la loro responsabilità repubblicana.
In concreto, è a tutti evidente la necessità di adeguare quelle norme della Costituzione che risultano disallineate con l’esito del referendum popolare che ha sancito il taglio del 40 per cento dei seggi della Camera e del Senato. Intanto deve essere chiaro che senza una riforma costituzionale l’elezione – tra un anno – del prossimo presidente della Repubblica, proprio in conseguenza di quel taglio, risulterebbe alterata nella composizione prevista dalla Costituzione con un netto incremento del peso dei delegati regionali a fronte di quello drasticamente ridotto del Parlamento nazionale. Una colpevole inerzia che lasciasse le cose come stanno violerebbe la lettera e lo spirito della Costituzione con conseguenze imprevedibili.
D’altra parte, senza una riforma della vigente legge elettorale Camera e Senato “tagliati” non garantirebbero la rappresentanza di alcuni territori, di alcune provincie, di alcune regioni autonome. E anche questo esito sarebbe in palese contrasto con la Costituzione. Non sfugge poi a chi ha coscienza di come funzionano le nostre istituzioni rappresentative che un Senato di soli duecento membri o sarebbe indotto a recepire col silenzio assenso i provvedimenti varati dalla Camera o non sarebbe in condizione di assicurare ai provvedimenti di legge un esame e una istruttoria adeguati in commissioni mutilate nel numero dei loro membri, impoverite di esperienze e di qualità.
Ebbene, poiché in forza di un referendum popolare la riduzione dei senatori a 200 e dei deputati a 400, è entrata nella Costituzione mentre permane il problema del bicameralismo – cioè di due Camere che replicando lo stesso ruolo e le stesse funzioni rallentando il processo legislativo – perché non fare di necessità virtù? Perché un vasto accordo parlamentare in cui sarebbero tutti vincitori non potrebbe finalmente produrre un vero big bang della nostra Repubblica parlamentare? Gli ultimi due anni di legislatura sono più che sufficienti per una revisione che istituisca un’unica Assemblea Nazionale di 600 membri sostitutiva sia della Camera dei Deputati che del Senato della Repubblica. In tal modo non solo assorbiremmo in un’unica revisione quelle necessitate dal taglio dei parlamentari ma finalmente supereremmo l’improvvido bicameralismo tante volte denunciato e si doterebbe la Repubblica di un Parlamento monocamerale pienamente rappresentativo, efficiente ed efficace del tutto in linea con le migliori democrazie moderne e proporzionato alla popolazione nel numero dei suoi membri.
Quanto alla legge elettorale vi è un unico sistema che può garantire insieme con la rappresentanza democratica, il pluralismo politico e fondare il diritto a governare sull’espressione quanto più diretta possibile della volontà popolare: è il sistema a doppio turno. Un primo turno garantirebbe a tutte le forze che superano una soglia minima il diritto di tribuna, il secondo turno in forma di ballottaggio tra le forze o le coalizioni più votate assicurerebbe un vincitore certo.
Ecco due occasioni straordinarie per tutti i partiti, di riconquistare con il loro ruolo costituente quel primato della politica logorato da decenni di ritardi, di inadempienze e di vane promesse.