Al momento stai visualizzando Nordio e la bancarotta della giustizia

Per chi non lo sapesse l’attuale ministro della giustizia, Carlo Nordio, è un magistrato oggi in pensione che ha esercitato il ruolo di pubblico ministero per circa quarant’anni. All’esperienza istituzionale è venuto poi accompagnando una pregevole attività pubblicistica affidata a libri, saggi, relazioni a convegni con i quali ha espresso la sua ben argomentata e impietosa critica alla progressiva degenerazione dell’amministrazione della giustizia in Italia. 

In particolare il suo ultimo libro, “Giustizia, ultimo atto”, compendia in una ricostruzione storica accurata le cause e le responsabilità del dissesto e del terribile discredito in cui è precipitata. Con un approccio liberale e in una prosa elegante impreziosita da rimandi letterari che ne rendono piacevole la lettura anche ai non esperti, Nordio non si limita a passare in rassegna fatti e misfatti che da quarant’anni – dal caso Tortora, all’inchiesta Mani Pulite al caso Palamara – hanno via via corroso la giustizia italiana e azzerato la sua credibilità, ma è risalito all’origine di molti dei mali che l’affliggono e che ci affliggono. 

Diventato prima parlamentare poi ministro della giustizia per volontà di Giorgia Meloni, Nordio è però inciampato in un incidente probabilmente dovuto alle pressioni dei suoi colleghi di governo (immaginiamo in particolare del ministro degli interni) e alla fretta di dare un segno di severo decisionismo. Si tratta del decreto contro i raves – raduni di giovani e non giovani in luoghi pubblici e aperti macchiati da consumo di droghe, alcol e in alcuni casi da devastazioni. 

Un’iniziativa non necessaria, tantomeno urgente, visto che l’occasione di un imminente rave in quel di Modena che l’aveva suggerita era stata opportunamente e tranquillamente sospesa in base alle leggi vigenti. Un’iniziativa in contraddizione con le convinzioni di Nordio e con la sua battaglia contro il pan penalismo, ovvero contro l’abnorme produzione di sempre nuove leggi destinate a complicare, confondere, intasare un tessuto normativo già sovrabbondante e pericolosamente intricato. 

Nondimeno, dopo aver parzialmente corretto il testo del decreto il ministro, ha sentito il bisogno di fornire un chiarimento generale del suo punto di vista esponendo il suo programma di riforme in un discorso/manifesto illustrato al Senato della Repubblica. E qui abbiamo ritrovato il vero Nordio e la costanza delle sue convinzioni più fondate e radicate. 

Prima tra tutte, in ordine di importanza e per la cascata di conseguenze indesiderate che trascina con se, egli ha posto la necessità di riconsiderare e riformulare l’articolo 112 della Costituzione che stabilisce che “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Questa formulazione icastica, rigida e perentoria è stata ed è fonte di problemi insormontabili. Per esempio, come può, concretamente, ogni singolo pubblico ministero perseguire tutti i reati di cui ha notizia? 

Si tratta con tutta evidenza di un compito impossibile ma, d’altra parte, non esiste una legge che stabilisca quali reati debbano essere perseguiti in via prioritaria. L’effetto combinato di un’impossibilità pratica e di una omissione legislativa assegna al pubblico non un assoluto obbligo ma un assoluto arbitrio. La Costituzione non è chiara e univoca anche per quel che riguarda l’indipendenza del Pubblico Ministero. 

Nell’articolo 107 per un verso la riconosce nelle giurisdizioni speciali per altro nel comma successivo ne delega la definizione alla legge ordinaria cui nessuno ha mai nemmeno osato por mano. Ebbene, quali sono le conseguenze di questo disordine costituzionale? Mentre il 90 per cento dei reati resta impunito, il 40 per cento delle accuse sollevate dai PM cade per assoluzione già in primo grado o perché il fatto non sussiste, o perché l’imputato non l’ha commesso, o per insufficienza di prove. 

Nel suo discorso Nordio non ha mancato di denunciare anche l’abuso della carcerazione preventiva, delle intercettazioni telefoniche e degli stessi avvisi di garanzia trasformati in condanne preventive – “coltellate alla schiena” li chiamava Giovanni Falcone il più probo e il più grande di tutti i nostri magistrati. Puntuale è insorta la canea dei soliti giornali e giornalisti mozzaorecchi accusando Nordio di voler demolire la Costituzione con un discorso sgangherato, macchiettistico, odioso, classista degno di un Nerone. 

Vedremo se anche questa volta avranno partita vinta.