Al momento stai visualizzando La destra sotto il segno dell’ambiguità

Negli anni in cui Fratelli d’Italia è stata all’opposizione Guido Crosetto si è espresso in toni moderati mostrando un grande rispetto per interlocutori e avversari e una certa autonomia di pensiero. Dunque perché adesso che è ministro da due mesi annuncia che con i funzionari ministeriali il governo procederà col machete? Di solito chi lo impugna lo usa per farsi largo nella giungla, ma Crosetto sembra voler tagliare teste non arbusti. E poi, se la destra vuol far man bassa di nomine perché suonare anche la grancassa? Qual è lo scopo di parole così brutali? Spaventare? 

Sì, ma più che quelli che se ne andranno colpevoli di esser stati nominati dai politici che hanno perso le elezioni, brandire il machete serve a mettere in riga quelli che resteranno e quelli che verranno. “Sarete scelti da questo governo e da questa maggioranza e risponderete a noi e soltanto a noi” è questo il messaggio lanciato da Crosetto e non promette niente di buono per lo Stato che deve funzionare meglio, non essere occupato e rioccupato da truppe di fedeli.

In contemporanea Ignazio La Russa, presidente del Senato e seconda carica dello Stato, ha approfittato di una ricorrenza familiare per celebrare insieme con il proprio padre, la Repubblica Sociale e il Movimento Sociale. In questo modo gli eredi istituzionali e politici del fascismo mussoliniano alleati, succubi e ormai prigionieri del nazismo hitleriano, vengono trasfigurati e riabilitati quali co-protagonisti della “partecipazione libera e democratica in difesa di idee rispettose della Costituzione italiana”. Un gioco di prestigio teso a riabilitare non il fascismo violento delle origini, ma il fascismo della fase terminale, quello asservito a un esercito straniero e complice dei suoi orrendi crimini contro l’Italia, gli italiani e gli ebrei. 

A quasi ottanta anni dalla guerra civile del ‘43/’45 con la vittoria elettorale dello scorso 25 settembre e l’ascesa al vertice delle istituzioni e del governo nazionale, i vinti di allora ne approfittano per riscrivere la storia e soprattutto per riabilitare con i propri congiunti, se stessi e la fase politica più sanguinaria, cupa e vergognosa della nostra storia, quella in cui si consumò la morte della patria divisa, occupata, straziata. 

Si dice che Giorgia Meloni non gradisca le esternazioni dei suoi camerati che sia anzi infastidita dai loro richiami nostalgici a un passato che non passa e che offre agli avversari un sovrabbondante armamentario polemico. Ciò non significa che la nostra premier disdegni il conflitto, ma solo che alle dispute retrospettive preferisce quelle attuali decisamente più utili al suo disegno politico e alle sue ambizioni. 

Ciò spiega la particolare veemenza che nella conferenza stampa di fine anno Meloni ha riservato allo scandalo di recente esploso a Bruxelles e l’interpretazione tendenziosa che ne ha fornito. Secondo Palazzo Chigi non si tratta di uno scandalo italiano – un italian job, un lavoretto all’italiana – ma di uno scandalo del socialismo europeo, un socialist job. Ora, con la cautela dovuta di fronte a un’indagine ancora in corso, i fatti sinora emersi sembrano dar ragione al settimanale inglese The Economist e non a quella sostenuta dalla nostra premier. 

Al centro dello scandalo c’è l’ex sindacalista della CGIL ed ex parlamentare europeo, Antonio Panzeri, iscritto a Articolo 1, il partito di Speranza, di Bersani e di D’Alema nato nel 2017 dalla scissione dal PD renziano. Secondo il giudice belga sarebbe Panzeri l’anima e il regista delle operazioni corruttive tra emissari del Qatar e del Marocco che avevano lo scopo di ammorbidire la posizione del Parlamento Europeo nei confronti dei due paesi arabi. La vicepresidente greca del Parlamento europeo Kaili presso la cui abitazione la polizia ha rinvenuto 750.000 euro in contanti ha dichiarato che quei soldi erano di Panzeri che li avrebbe depositati lì per proteggerli con l’immunità parlamentare di Kaili. 

Analoga la versione del suo compagno e padre della loro bambina, Francesco Giorgi, già assistente di Panzeri e oggi dell’eurodeputato Cozzolino sospeso dal PD. Anche gli altri due eurodeputati belgi Marc Tarabella e Maria Arena coinvolti o sfiorati dall’inchiesta sono di origine italiana, il primo dei due risulta iscritto a Articolo 1 ed entrambi sono personalmente legati a Panzeri. Un italian job con nomi, cognomi e una precisa identità politica nella tradizione post comunista. 

Il socialismo e l’Europa sono le vittime non gli autori dello scandalo. Giorgia Meloni che coltiva l’ambizione di rompere la storica alleanza europea tra popolari e socialisti anziché fomentare il discredito contro le vittime dovrebbe farebbe bene a prendersela con i veri responsabili.