Al momento stai visualizzando Per avere la pace bisogna vincere la guerra

La speranza di pace alberga nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà e non deve essere spenta. Ma la pace si fa in due – soggetti o schieramenti che siano. Se è solo uno dei contendenti a volere la pace mentre l’altro – magari proprio quello che ha iniziato le ostilità – persevera nel fare la guerra ci può essere la resa del soccombente ma non la pace. 

Chi ha a cuore la pace ha il dovere di essere serio, di non passeggiare tra le nuvole ma di mantenere un contatto con la realtà dei fatti che scorrono sotto i nostri occhi. In genere quando è in corso una guerra per fermarla il primo atto consiste nel concordare una tregua, almeno un cessate il fuoco che crei lo spazio e il tempo per negoziare. Ebbene, mentre sin dall’inizio Zelensky, Biden, Macron, Draghi e poi Erdogan, Bennet, Scholz si sono spesi per un cessate il fuoco aprendo a un qualche compromesso, c’è mai stato un minimo segnale di disponibilità a una tregua da parte di Putin? 

A fronte di tante parole sprecate e di vane speranze i fatti duri e ostinati sono questi: dal 24 febbraio scorso, sessantacinque giorni fa, è in corso l’aggressione russa all’Ucraìna una nazione sovrana, libera e indipendente. Un’aggressione militare dal cielo dalla terra e dal mare condotta da una delle più grandi potenze militari del mondo che utilizza mezzi di distruzione di massa, bombarda sistematicamente città e popolazioni civili, non rispetta i più elementari diritti umani e non consente nemmeno corridoi umanitari per profughi e fuggiaschi dalla propria terra, nemmeno quando si tratta di donne, bambini, anziani mentre i soldati russi nei territori occupati esercitano violenze, stupri, saccheggi, deportazioni di massa contro i sopravvissuti. 

Putin smascherando senza pudore la sua natura di despota e di manipolatore si rifiuta persino di chiamare guerra la guerra che ha scatenato contro un altro popolo e impone al suo di popolo di definirla “operazione speciale”, quasi si trattasse di un’operazione di polizia o di pulizia etnica e politica all’interno di una stessa comunità nazionale. E in effetti nel discorso con cui annunciava l’inizio dell’”operazione speciale” Putin arrivò a negare all’Ucraìna lo status di nazione indipendente reclamando la sovranità russa su un popolo che da secoli è e vuole restare autonomo, un popolo che parla un’altra lingua e che vuole appartenere all’Europa e all’occidente. 

Come è pensabile trovare strade per negoziare e costruire la pace su queste basi? Buon ultimo ci ha provato anche il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, e anche lui si è trovato prima davanti a un muro di niet, di silenzi e di minacce poi alla ripresa dei bombardamenti su Kiev mentre era in visita. 

“Il consiglio di sicurezza ONU ha fallito, non è riuscito a prevenire e a porre fine alla guerra – ha detto Guterres che ha così concluso, “La guerra non finirà con le riunioni. La guerra finirà quando la Federazione Russa deciderà di finirla e quando dopo un cessate il fuoco, ci sarà la possibilità di un accordo politico serio.” Se mai ci fossero stati dei dubbi ora non ce ne sono più: Putin non vuole la pace almeno fino a quando non avrà distrutto l’Ucraìna e non l’avrà resa impotente smilitarizzandola. Questa è la pace di Putin. 

Quanto alla guerra, una volta fallita il tentativo di assassinare Zelensky e di occupare l’intera Ucraìna, Putin si è concentrato sul come smembrarla puntando a est sul Donbass la regione ucraìna più prospera, ma anche a sud con la distruzione e il massacro di Mariupol e ora bombardando Odessa per chiudere agli ucraìni ogni accesso al Mar Nero e minacciare la Moldavia. 

Di fronte all’escalation di Putin e a qualche incertezza europea – non sul sostegno militare ma sulla sua qualità e portata – la guida del fronte pro ucraìna è stata assunta da americani e inglesi concordi su due punti cruciali: 1. l’unica ragione che Putin capisce è quella della forza 2. L’unico modo di arrivare a un negoziato è vincere la guerra. Da qui è nata la riunione di Ramstein, quartier generale delle forze USA in Europa, cui hanno partecipato 43 stati. Questa alleanza mondiale delle democrazie, ben più ampia della NATO, si è impegnata all’invio urgente di nuovi e più pesanti armamenti all’Ucraìna perché possa difendersi e contrattaccare. Se non vogliamo vivere sotto i ricatti e le minacce di un despota dobbiamo aiutare l’Ucraìna a vincere.