Secondo Giuseppe Conte chi tocca il reddito di cittadinanza deruba i poveri e fomenta la rivolta sociale. Che si tratti di una preoccupata profezia o di una minaccia eversiva il comizio a Scampia dell’ex presidente del consiglio è stata subito condiviso da Enrico Letta. “Il governo fa cassa sulla pelle dei poveri” ha sibilato il segretario del PD dimentico che il suo partito votò contro la legge dei 5 Stelle quando venne introdotta e che ha sempre ribadito la necessità di riformarla separando l’assistenza ai poveri dall’avviamento al lavoro così malamente confusi nella legge dei grillini.
In anni precedenti il PD, con Gentiloni primo ministro, aveva varato il reddito di inclusione una misura che pur nel suo modesto impianto aveva ben altra serietà rispetto a quella demagogica e poco efficiente dei 5 Stelle oltretutto esposta, come si è visto, a abusi e contraffazioni.
Incurante dell’evidenza che insistere nel corteggiare Conte ingrassa il corteggiato (che si permette pure di svillaneggiarlo) mentre ha già fatto precipitare il PD nei sondaggi ben al di sotto dell’infausto risultato del 25 settembre, Letta sta imponendo al suo partito una torsione estremista destinata a isolare se non addirittura a spezzare il PD.
Mentre si sono regalati a profusione seggi a Fratoianni e al suo uno per cento e si fanno ponti d’oro ai quattro scissionisti di sinistra capeggiati da Speranza e Bersani affinché rientrino nel PD, si allarga a dismisura il fossato con gli scissionisti moderati Renzi e Calenda accusati di collusione con Giorgia Meloni.
Ma non è sempre la stessa Meloni che Letta aveva eletto a unica avversaria degna di essere interlocutrice già prima e poi anche durante tutta la rovinosa campagna elettorale? Non è forse la stessa Meloni che sull’aggressione russa e sull’invio di armi all’Ucraìna ha tenuto una linea ben più stabile e coerente di quella di Fratoianni e di Bonelli per non dire dei 5 Stelle?
O vogliamo parlare di Elly Schlein – la candidata promessa – che alla prima votazione impegnativa ha preferito abbandonare l’aula che votare con il gruppo PD gli aiuti all’Ucraìna? E non era stato lo stesso Letta a rompere platealmente con Conte quando, sulla stessa materia non votò la fiducia a Draghi?
Quel che accade è conseguenza anche del fatto che a due mesi e passa dalle elezioni il segretario del PD si è sottratto ad ogni rendiconto, ad ogni analisi, ad ogni critica togliendo al suo partito persino il diritto di analizzare la sconfitta dunque di indagarne le cause per porvi rimedio.
Annunciando che non si ricandiderà Letta si è concesso di restare segretario per altri cinque mesi ad un tempo arbitro delle regole e delle procedure ma anche giocatore tra le correnti e i candidati. Ha insediato una commissione composta da esperti di parte e dalla parte a lui gradita dei dirigenti che – ci si può scommettere – sarà il solo luogo inventato ma istituzionale in cui si discuterà di politica stabilendo le coordinate e gli indirizzi della prossima fase. Agli iscritti tocca di aspettare il 26 gennaio per conoscere i testi e i candidati poi, in un paio di settimane dovranno discutere e votare due volte, prima nei circoli poi nei gazebo delle primarie e oplà! ecco fatto il congresso per rifondare il PD.
O per seppellirlo.
In tanta attesa anche il Terzo Polo non scherza con gli azzardi. Calenda incontra la presidente del Consiglio e con lei discute amabilmente di come migliorare la legge di bilancio. Probabilmente vuol distinguere la sua opposizione ovviamente “costruttiva” da quella distruttiva del PD e dei 5 Stelle e però non si rende conto del rischio di favorire non solo la manovra di bilancio, ma anche la strategia di Giorgia Meloni. La quale con prudenza e con abilità muovendo dalla destra radicale e di opposizione ha spolpato elettoralmente i suoi alleati e oggi, vinte le elezioni e guidando il governo, vuole allargare la sua influenza su quel centro che né Forza Italia tantomeno la Lega di Salvini sono più in grado di presidiare.
E proprio a questo, a accreditarsi presso l’elettorato moderato, è servito e servirà il dialogo con i centristi del Terzo Polo: loro scuoteranno l’albero delle opposizioni, ma a raccoglierne i frutti sarà lei non Calenda.